La grappa italiana è famosa in tutto il mondo, tant’è vero che anche il consiglio europeo con un regolamento, già nel 1989 ha sancito che solo distillati di vinaccia prodotti in Italia possono essere chiamati grappa.

La storia della grappa si perde nella notte dei tempi, la leggenda la farebbe risalire addirittura ad un legionario romano del I sec. a.C. che, rientrato in patria dopo aver trafugato in Egitto un impianto per la distillazione della vinaccia, ne avesse applicato le tecniche apprese alle vinacce del vigneto di cui era assegnatario in Friuli.

La distillazione è però probabilmente iniziata tra l’VIII ed il VI secolo a.C. in Mesopotamia, mentre le prime testimonianze di quella applicata ai vitigni per ottenere un’acquavite risalgono a non prima del XII secolo ad opera degli alchimisti. Le tecniche per distillare grappa vera e propria sono state codificate dalla Scuola Salernitana attorno all’anno Mille.

Le vinacce sono le bucce degli acini d’uva una volta separate dal mosto o dal vino. Attualmente meno di un terzo della vinaccia viene utilizzata per la produzione di grappa, dalla restante parte si ricava alcol etilico. Questo fatto ha una notevole incidenza sulla qualità finale dell’acquavite in quanto solo la vinaccia migliore, quella ritenuta più vocata a seguito di un’attenta selezione, origina grappa.

La qualità della grappa dipende in prima misura dalla qualità delle vinacce utilizzate, e in secondo luogo dall’abilità del mastro distillatore. Questa è una figura non abbastanza valorizzata finora, dato che è lui il primo artefice di una grappa di alta qualità e infatti secondo la vigente normativa per la vendita liquori, sull’etichetta è possibile citare sia il mastro distillatore che l’alambicco di distillazione usato, un binomio considerato fondamentale per la caratterizzazione della grappa creata.

Gli alambicchi infatti si dividono in due categorie principali, quelli continui e quelli discontinui.
I primi lavorano, come dice il loro nome, in continuazione. Alimentati con vinaccia restituiscono una flemma alcolica che viene successivamente elevata al rango di acquavite attraverso una seconda distillazione. I secondi invece lavorano a cotte, si carica in caldaia (o cucurbita) il materiale da distillare, si riscalda, si procede all’esaurimento dell’alcol e delle sostanze aromatiche che contiene, facendo grande attenzione a prelevare solo il cuore, e infine, si scarica la caldaia.
La distillazione migliore avviene lentamente, delicatamente, per mezzo di vecchi tradizionali alambicchi, dove il vapore attraversa la massa spugnosa delle vinacce per estrarne la parte meno volatile e trasmettere al vapore le proprie sostanze aromatiche.

Il risultato della distillazione viene affinato in botti di legno pregiato, che cedono alla grappa, attraverso la cessione di tannini, la propria carica aromatica.
L’invecchiamento vero e proprio non è indispensabile se si vuole ottenere un distillato di giovanile baldanza e aggressività; naturalmente se si sceglie la via del distillato più nobile e complesso,i caratteri organolettici acquisiti saranno in funzione del tipo di legno, del tempo che l’acquavite trascorre nelle botti e delle condizioni climatiche in cui avviene il soggiorno.

La grappa ha alle spalle una lunga storia, soprattutto nel nord Italia e nel Veneto, dove la grappa è ormai uno dei simboli di questa terra con oltre il 40% della produzione nazionale di acquavite. Anni di distillazione, usando ancora i metodi tradizionali, hanno fatto sì che la qualità di questa acquavite sia sempre alta e che qui si trovino quindi anche le aziende e le distillerie più famose e antiche.

A cura di Martina Meneghetti
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