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A Cittàterritorio confronto con il giudice Cantone sulle comunità illegali. Al bando l’ipocrisia della politica
Travaglio: “Per cambiare serve il coraggio di fare nomi e cognomi”

18-04-2009

Un attacco ai vuoti discorsi retorici che denunciano le responsabilità ma mai i responsabili; la denuncia della persistente intangibilità dei politici; le
intimidazioni funzionali ad addomesticare giornalisti e magistrati; la rivendicazione della questione morale come elemento di discrimine fra la buona e la cattiva politica.
L’atteso intervento di Marco Travaglio a Cittàterritorio festival non ha tradito le attese del migliaio di persone che hanno affollato la sala Estense e
l’antistante piazza del Municipio ove era collocato un maxischermo per seguire in diretta l’incontro.

Accanto a Travaglio, ad animare il dibattito moderato dal caporedattore della Nuova Ferrara Carlo Chierici, c’era il magistrato Raffele Cantone, della direzione distrettuale
antimafia di Napoli. Punti di vista spesso convergenti e una comune sensibilità fra i due, nonostante accentuazioni differenti dovute a ruoli e responsabilità diverse.
Punto di partenza del confronto era l’analisi di una comunità anomala, quella illegale. “Alla base – ha affermato il magistrato – c’è una
mentalità antica che nasce in una società in cui non esistono diritti ma favori. Parola chiave per comprendere mafia, camorra, ndrangheta non è violenza ma
‘consenso’, alimentato anche dalla falsa ricchezza, cioè dal lavoro, creato da queste organizzazioni criminali. Il consenso si traduce in voti, quindi in controllo
sugli enti pubblici e le amministrazioni locali. Il problema non si risolve semplicemente con gli arresti che pure sono indispensabili, bisogna rivedere le leggi, la regole
amministrative, ! invece si attende la soluzione dalla magistratura, che da sola non ce la farai mai”.
“Non credo che questo Paese sia in grado di sostenere l’impegno della magistratura – ha commentato amaramente Travaglio – la politica l’ha sempre ostacolata, censurando le
indagini dei magistrati intraprendenti, depistandoli attraverso i servizi segreti, ora con continui attacchi televisivi e mediatici che fanno sì che sempre meno magistrati
abbiano voglia di affrontare la gogna per indagare su vicende che hanno a che fare con il potere. Il problema di fondo è che ormai la magistratura non è nemmeno
più in condizione di lavorare”.
“Ci sono situazioni paradossali – ha confermato Cantone citando ad esempio il caso degli appalti – Abbiamo bisogno di una seria revisione dell’albo delle imprese: oggi i
costruttori si fanno abilitare dalle società private che loro stessi pagano…”
Travaglio ha poi spostato l’attenzione su un’altra ipocrisia della politica e del giornalismo: “Si denunciano le situazioni, quasi mai i responsabili con nomi e
cognomi. Tutti promettono lotta dura alla criminalità, all’abusivismo, alla corruzione ma pochi agiscono con coerenza. Così si resta alle grandi declamazioni retoriche
e tutto prosegue come prima”. Per esempio “a proposito dell’Abruzzo non ci voleva molto per riconnettere l’ospedale crollato all’ Aquila a Impregilo, che nel suo sito
vanta il merito della costruzione. Cos’ come le cose che ha scritto Saviano in Gomorra non le sapeva mica solo lui. Lui ha avuto il merito di dire quello che gli altri
tacevano. Bisogna smetterla di parlare in generale, sono capaci tutti”.
“Evocare la questione morale – ha proseguito – causa un senso di noia e sfinimento. Ma quando capitano cose come il terremoto ci si accorge che la questione morale non
è questione da anime belle, sono in gioco soldi e vite umane. Nella questione morale inaffrontata e irrisolta vivono bene solo i delinquenti, quelli che rubano e
speculano”.
E poi, tornando al tema della comunità illegale, ha osservato: “Non c’è un Paese che abbia come da noi organizzazioni criminali che durano da centinaia di anni.
Questo accade perché ci sono rapporti saldi con la politica e con alcuni settori della magistratura”.
“Quando Saviano ha citato operazioni illecite fatte a Parma o Milano – ha rilevato Cantone – qualcuno si è sorpreso. La comunità illegale quando non spara
quasi non dà fastidio perché in molte cose riesce a sostituirsi alle attività dello Stato. La criminalità organizzata ha capito che si può fare a
meno persino dei politici, basta infiltrarsi nei gangli amministrativi con qualche tecnico amico. In fondo la questione morale è concetto alto, io mi accontenterei di vedere
rispettate le leggi”.
E se non sempre i magistrati riescono a documentare il do ut des, “di certi comportamenti equivoci – avverte Travaglio – devono trarre le conseguenze i partiti. Non
c’è mica l’obbligo di candidare quello che va a fare da testimone di nozze al camorrista, o il politico come Crisafulli che si apparta in una saletta per parlare
riservatamente con il capo mafia di turno, anche se non si prefigura il reato”.
“La politica – ha fatto eco Cantone – si è appropriate del principio di presunzione di innocenza sostituendolo a un altro precetto: quello
dell’irreprensibiliità, che impone comportamenti indiscutibilmente specchiati”.
“Per i politici invece vige sempre l’intangibilità – ha commentato Travaglio – Provate a immaginare cosa sarebbe successo se al posto dei due romeni accusati
ingiustamente di stupro ci fossero stati due consiglieri anche solo di circoscrizione. Se questo fosse un Paese serio il questore di Roma sarebbe stato destituito e il magistrato
che ha condotto l’indagine sarebbe finito sotto inchiesta al Csm”.
“La sciatteria della stampa, anche di quella locale – è stata la conclusione condivisa – che scrive ‘assolto’ anziché ‘prescritto’ e che
assume le veline della magistratura o delle questure come fatti certi non aiuta a capire e non favorisce l’impegno di chi vuole fare davvero pulizia”.



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