Aveva deciso di alzare il tiro, Libin Hu. E se ne era assunto il rischio. Dal Piemonte voleva tentare il grande salto a Milano, fra party in discoteca e fiumi di droga.
Eppure i suoi rivali erano stati chiari: «Organizza pure le feste – gli dicevano – fai il “pierre”, però lascia stare la droga. E’ roba nostra».
Ma Libin Hu, 22 anni e la strafottenza di un piccolo boss, non li ha ascoltati. Si è messo a spacciare ketamina. E per giunta lo ha fatto umiliando i suoi rivali e scatenandone la rabbia più cieca.
La vendetta è arrivata come un fulmine, la stessa notte in cui il piccolo boss aveva deciso di fare il grande salto, durante una festa da lui organizzata.
E’ stato dilaniato a colpi di machete sulla pista da ballo della discoteca. Mentre i suoi “fedelissimi”, che hanno tentato di proteggerlo, sono rimasti feriti.
Gli arresti
Ieri mattina, a distanza di due mesi dal delitto alla discoteca “Parenthesis”, sono finiti in manette nove degli esecutori materiali del massacro. Uno di loro è latitante in Cina. Gli altri 7 (la polizia ritiene che in tutto fossero una quindicina) sono sparpagliati fra Asia e Nord Europa.
Il più grande ha 26 anni, il più piccolo 18. Ciuffo sulla fronte, jeans a vita bassa, tatuaggi con scorpioni: si somigliano tutti, i membri della banda. Immigrati cinesi di seconda generazione, molti dei quali appartenenti a famiglie oneste, che sono stati fatti arrivare in Italia in età preadolescenziale, dopo aver trascorso l’infanzia nella povertà della provincia cinese.
Conoscono l’italiano, ma non lo parlano. La loro unica lingua è il cinese.
E proprio a Chinatown, dopo il massacro del 24 febbraio, si nascondevano alcuni di loro. Sei di questi, infatti, non se ne erano mai andati da Milano. Gli altri sono stati arrestati fra Albenga (Savona) e Alba Adriatica (Teramo), tra il 16 marzo e la notte di mercoledì. Le accuse ipotizzate, a vario titolo, sono di omicidio volontario, possesso illegale di armi e lesioni.
La punizione
Quella notte del 24 febbraio, nel club Parenthesis di via Gargano, si stava svolgendo una festa a cui avevano preso parte circa cinquanta cinesi. I componenti del commando entrarono alla spicciolata.
Poi, al segnale, scattarono contro Libin Hu. Il giovane fu accerchiato dalla banda e ucciso a colpi di mannaia. Il suo corpo, dilaniati, cadde al centro della pista. Altri cinque ragazzi rimasero feriti. Le indagini hanno chiarito che la spedizione punitiva fu decisa la notte stessa da una gang cinese rivale che aveva il predominio su Milano. Libin Hu (che invece aveva come area di riferimento il Cuneese e Torino) non aveva rispettato un accordo di non belligeranza. La banda “milanese” avversaria, infatti, che quella stessa sera aveva organizzato un’altra festa al locale “Codice a barre” gli aveva intimato di non spacciare droga.
E quando hanno capito, attraverso le loro “spie”, che Libin Hu aveva osato disobbedire, è scattata la spedizione punitiva, culminata con un efferato omicidio.
Fra i mandanti c’è anche Hu Xiao Zang, il cinese che il giorno prima del massacro era stato ferito a colpi di mannaia in piazzale Nigra, e che proprio per questo non partecipò al delitto.
Vedi anche: Lite tra cinesi in discoteca, un morto e quattro feriti
Fonte ??: Cronaca Qui